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Santi del 17 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Santi Anania, Misaele e Azaria (Abdenago, Misach e Sidrach) - Martiri (17 dicembre)

Abdenago, Misach e Sidrach, chiamati anche Anania, Misaele e Azaria, sono personaggi biblici.
Il libro del profeta Daniele, nei primi tre capitoli, espone la vicenda di questi tre personaggi con dovizia di particolari.

Sono i tre giovinetti, divenuti governatori di Babilonia, che, per non aver voluto adorare un idolo pagano, furono gettati in una fornace ardente dalla quale rimasero, però, illesi.
Le reliquie dei tre santi vetero-testamentari furono traslati da Babilonia a Costantinopoli, nella chiesa di San Daniele stilita.
Da là queste reliquie furono portate, nel 1156, nell’abazzia di Montevergine dove tuttora si venerano.
Le reliquie dei tre fanciulli babilonesi sono esposte in tre reliquiari diversi.
In uno di questi, su una targhetta, c’è scritto “Ossa S. Misach ex tribus puer Babylon”.
Nel secondo la targhetta avverte trattasi di “Ossa S. Sidrach ex tribus puer Babylon”.
Nel terso reliquiario vi sono le “Ossa S. Abdenago ex tribus puer Babylon”. La festa dei tre fanciulli babilonesi viene celebrata, a Montevergine, il 16 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Anania, Misaele e Azaria, pregate per noi.

*Santa Begga - Badessa di Andenne (17 dicembre)

Nata nel VII secolo da nobile famiglia carolingia, Begga si sposò e rimase vedova. Allora - sull'esempio della madre, Santa Itta, che alla morte del marito, il Beato Pipino di Landen, si era ritirata nel monastero belga di Nivelles - fondò Notre-Dame ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), di cui fu badessa.
Le si attribuì la fondazione di sei oratori intorno alla chiesa principale: perciò il luogo fu detto "sept-eglises".
È considerata, dal XV secolo, l'iniziatrice del movimento delle beghine, per assonanza e perché la scelsero come patrona. (Avvenire)
Martirologio Romano: Ad Andenne nel Brabante, nell’odierno Belgio, Santa Begga, vedova, che, dopo la morte del marito, fondò il monastero della Beata Maria Vergine secondo le regole dei santi Colombano e Benedetto.
La Vita sanctae Beggae viduae fu redatta nel XII sec. con la fusione di elementi desunti da una Vita di Santa Gertrude dell'VIII sec., di reminiscenze classiche e invenzioni fantastiche.
Begga nacque da nobilissima famiglia: figlia del Beato Pipino di Landen (m. 640) e di Sant'Itta (o Iduberga), fondatrice del monastero di Nivelles (m. 652), ebbe per fratelli lo sventurato Grimoaldo, che morì nel 663 vittima di intrighi cortigiani, e Santa Gertrude, badessa a Nivelles fino al 659, anno della sua morte.
Begga sposò uno dei figli di Sant' Arnolfo di Metz, Ansegiso o Ansegisello, domesticus alla corte di Sigeberto III (m. 656) e dì Childerico II (m. 675) e firmatario di alcuni diplomi nel 670.
Ansegiso è generalmente confuso col nobile Adalgysel della Cronaca di Fredegario o della carta di fondazione di Cugnon (645-47).
Dopo la morte del marito, avvenuta nel 685, Begga fondò e intitolò a Notre-Dame un monastero ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), in un terreno di sua proprietà.
Nell'abbandonare il mondo Begga s'ispirò al comportamento della madre Itta che, alla morte del marito, si era rinchiusa nel monastero di Nivelles (Belgio), da lei fondato.
E proprio ad Agnese, badessa di Nivelles, ella si rivolse per ottenere libri, reliquie e suore con cui sostenere la sua fondazione di Andenne.
Si attribuiva, inoltre, a Begga la fondazione di sei oratori che, disposti intorno alla chiesa principale, rappresentavano le sette basiliche di Roma e valsero ad Andenne il nome dì "sept-tglises", ad septem ecclesias.
Le monache di Nivelles praticavano probabilmente la regola di San Colombano, se si considerano i costanti legami dell'abbazia (consolidatasi sotto la vigile protezione di Amando, Foillano e Ultano, fratelli questi di San Furseo) coi monaci irlandesi.
Ma nel 691 la regola importata ad Andenne era mista di elementi desunti dalle regole di San Colombano e di San Benedetto.
La Vita leggendaria pone la morte di B. al 709, attribuendole un viaggio a Roma sotto il Papa Adriano I, eletto in realtà nel 772. Al tempo della redazione della Vita il monastero di Andenne fu secolarizzato e affidato a canonichesse nobili con prebende; l'autore descrive questo regime come se fosse quello della fondazione.
Begga fu onorata come santa subito dopo la morte; il suo nome, assente negli antichi martirologi, è passato, dai calendari dell'XI sec. al Martirologio Romano, al 17 dicembre.
Per la somiglianza dei nomi, a partire dal XV sec. si è considerata Begga come iniziatrice del movimento delle beghine, ed è esistita una pia letteratura che, specialmente nei paesi fiamminghi, illustra e difende questa teoria, nata, invece, dal fatto che le beghine scelsero Begga come patrona.

(Autore: Henry Platelle – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Begga, pregate per noi.

*San Cristoforo di Collesano - Monaco (17 dicembre)

Martirologio Romano: Sui pendii del Mercurio in Basilicata, San Cristoforo da Collesano, monaco, che si dedicò intensamente con tutta la sua famiglia alla propagazione della vita monastica.
Visse nel sec. X, in un periodo particolarmente calamitoso per la Sicilia, occupata dai Saraceni. Fu marito di Call e padre dei santi Saba e Macario, due dei principali asceti italo-greci di quel tempo.
Dopo una vita religiosa molto intensa, si sentì chiamato a un ascetismo più accentuato, ai quale fu iniziato dal Santo egumeno Niceforo nel monastero, allora fiorente, di San Filippo d'Agira. Col permesso del suo superiore, egli si ritirò a condurre vita eremitica presso la chiesa di San Michele di Ctisma, dove fu raggiunto dai suoi figli. Poco dopo anche a moglie Call si faceva promotrice dello stesso tenore di vita monastica tra le donne.
Verso il 941, a causa della carestia abbattutasi sulla Sicilia, fu costretto, insieme con i membri della famiglia e altri cittadini di Collesano, a trasferirsi in Calabria. Dopo varie peregrinazioni, raggiunse la regione monastica del Mercurio, all'estremità settentrionale della regione, dove vivevano molti asceti e una grande quantità di monaci greci di vita angelica più che umana. In questa famosa eparchia costruì la chiesa di San Michele con un monastero annesso, che divenne centro di vita cenobitica.
Avendo affidato la direzione del monastero al figlio Saba, egli intraprese il pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli a Roma, che era di rito per tutti gli asceti italo-greci di quei tempi.
Al ritorno, per l'aumentato numero dei discepoli, eresse un altro cenobio nel territorio di Laino, presso la diruta chiesa di Santo Stefano. Ivi riprese severamente un'orsa, che veniva periodicamente a devastare i legumi dei monaci, ed essa non si fece più vedere.
In prossimità della morte fu assistito amorosamente dai membri della sua famiglia e dai monaci mercuriensi, che lo venerarono come un Santo. Poco dopo lo seguì nella tomba la moglie Call, mentre i figli Saba e Macario prendevano la direzione dei monasteri da lui fondati. Nel Martirologio Basiliano la sua memoria ricorre al 17 dicembre.
(Autore: Francesco Russo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cristoforo di Collesano, pregate per noi.

*San Floriano - Venerato a Bologna (17 dicembre)

Etimologia: Floriano = fiore, appartenente alla dea Flora, dal latino
Nei primi decenni del sec. XIV il culto di questo martire, attestato peraltro dal sec. precedente, ebbe un notevole incremento tanto che fu proclamato protettore di Bologna. Eppure si tratta di un personaggio fittizio.
Sull'origine del culto a Bologna, le leggendarie Passio sancli Floriani et sociorum e la Vita in volgare di San Petronio (entrambe del sec. XIV ca.) ci danno alcuni ragguagli: il vescovo Petronio, si sarebbe recato in pellegrinaggio in Palestina, e vi avrebbe acquistato numerose reliquie fra cui quelle di Floriano di Gaza e dei suoi compagni.
In questa narrazione sono evidenti alcune sfasature: i martiri di Gaza, infatti, realmente esistiti furono suppliziati nel 638, mentre Petronio visse al principio del sec. V; inoltre, essi furono sessanta e non quaranta, come vuole la leggenda bolognese. Del resto la più antica biografia di s. Petronio del sec. XII, pur menzionando il viaggio in Palestina, non accenna al particolare dell'acquisto delle reliquie.
Per spiegare la genesi del culto di Floriano bisogna rifarsi ad un documento storico del sec. XII, ossia al Sermo de in vention e san ctarum reliq uiarum dove si narra come, nel 1141, i monaci di S. Stefano
di Bologna trovarono sotto il pavimento di una delle basiliche del complesso stefaniano (S. Croce) "speciosas arcas" in cui "sanctorum quadraginta martyrum pretiosa continentur corpora". Su uno di tali corpi era deposta "ulcherrima crux aurea". In questo documento autentico, peraltro, pur essendo elencati numerosissimi nomi di santi di cui furono trovate le reliquie, non esiste alcuna menzione esplicita né di Floriano né dei martiri di Gaza. In realtà i monaci che trovarono le quaranta salme parlarono di "martiri", ma probabilmente diedero questa qualifica a persone che non erano morte per la causa di Cristo.
Successivamente si volle precisare la provenienza di quei corpi sconosciuti; infatti, si cominciò a parlare dei quaranta, trovati nelle preziose arche, come dei martiri di Gaza alla fine del XII o al principio del XIII sec.; la salma decorata con croce aurea, poi, fu ritenuta quella del capo a cui fu dato il nome di Floriano.
Il Lanzoni, che ha esaminato la leggenda, ritiene che un anonimo chierico bolognese nel sec. XIII abbia collegato l'invenzione delle salme con la Vita del vescovo Petronio che del complesso stefaniano era considerato il fondatore. Queste costruzioni erano considerate imitazioni di quelle palestinesi, per cui si può fare l'ipotesi che il leggendista ritenesse le reliquie dei quaranta di provenienza palestinese.
Per compilare poi la Passio San Floriani et sociorum l'anonimo autore si servì della Passio sexaginta martyrum di Gaza compilata prima del sec. XI dove, però, non c'è alcuna menzione di Floriano, per cui resta sconosciuto il motivo della scelta del suo nome per la salma con la crux aurea. Può darsi che lo scrittore bolognese abbia imitato un passo del Liber Pontificalis di Agnello ravennate nel quale si riferisce che il vescovo Massimiano portò a Ravenna molte reliquie di martiri fra cui quelle di Floriano (probabilmente un martire nel Norico; cf. Delehaye, Origines, p. 326). Come Massimiano anche Petronio avrebbe portato a Bologna le reliquie di Floriano.
Nella passio che porta il suo nome, Floriano entra nella narrazione in modo saltuario e marginale. Da Gerusalemme, dove si trovava, un angelo miracolosamente lo trasportò a Gaza facendolo apparire ai sessanta soldati suoi dipendenti, fatti prigionieri dai Saraceni, che egli consolò. Dieci di questi, con a capo Callinico, furono poi trasferiti a Gerusalemme ed ivi decapitati; gli altri cinquanta subirorono analogo martirio dopo un mese. Floriano li seppellì ad Eleuteropoli; per questo fatto il governatore Ambro lo condannò a morte.
Gli storici bolognesi dei secc. XVI e sgg., accortisi della incongruenza cronologica, hanno fatto di Floriano un martire della persecuzione di Diocleziano; ma già nel sec. XVIII il Lambertini, pur non negandone l'esistenza, mostrava molte perplessità sulle vicende di questo Floriano.
La bolla di Celestino III riguardante il culto di Floriano è un falso. Nel calendario bolognese la festa era il 17 dicembre.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Floriano, pregate per noi.

*Beato Giacinto Maria Cormier - Domenicano (17 dicembre)

Orleans, 1832 - Roma, 1916
Avvertendo già da seminarista il richiamo alla vita religiosa, professò in privato i voti ed entrò nel Terz'Ordine. Nel 1856, il giorno dopo la sua ordinazione sacerdotale, entrò nel noviziato di Flavigny, fondato da R. Lacordaire.
A partire dal 1859, servì l'Ordine in diversi uffici: maestro dei novizi, priore in molti conventi, priore della provincia di Tolosa per due volte, assistente generale, procuratore dell'Ordine e infine nel 1904 venne eletto Maestro dell'Ordine, destando grande meraviglia per l'età avanzata e per la salute cagionevole. Fu l'uomo della Provvidenza per la restaurazione materiale e spirituale della Famiglia domenicana nel mondo: il suo programma fu quello di restaurare tutte le cose in Domenico, iniziando dallo studio e dalla preghiera.
Martirologio Romano: A Roma presso Santa Sabina sull’Aventino, Beato Giacinto (Enrico) Cormier, sacerdote, che, Maestro Generale, governò con prudenza l’Ordine dei Predicatori, promovendo notevolmente gli studi di teologia e di spiritualità.
Nato a Orleans l'8 dicembre 1832, nel giorno dedicato all'Immacolata Concezione della Vergine Maria Enrico ebbe un'infanzia serena quantunque fosse rimasto presto orfano; il padre morì
accidentalmente, in seguito austioni riportate cadendo mentre trasportava una lampada. Fu quindi la madre, donna intelligente accorta e attiva, ad occuparsi dell'educazione dei figli. Dopo aver ricevuto la prima Comunione e la Cresima, nell'ottobre del 1845 Enrico entrò nel Seminario minore La Chapelle dove manifestò la sua indole dolce e simpatica, fu studioso, ma senza eccedere, e rivelò una natura d'artista, portata al canto al disegno, alla poesia, una certa noncuranza per l'avvenire.
La morte precoce del fratello Eugenio, a cui Enrico si sentiva particolarmente legato lo ricondusse alla realtà della sofferenza facendogli abbandonare la sua spensieratezza. Nell'ottobre del 1851 si iscrisse al Seminario maggiore con la determinazione di intraprendere un cammino di fedeltà allo studio, all'orazione, all'esame di coscienza, all'Eucarestia, alla confessione e alla direzione spirituale. Il Rettore e suo padre spirituale M. Bènech, lo sprona a diventare uomo di orazione:" Non dell'orazione che si fa a ore stabilite, per obbedire alla regola… ma di quell'orazione che, cominciata al mattino, si prolunga tutto il giorno quanto è possibile, orazione per la quale si dimora in una santa unione con Dio, si ascolta la sua parola, si parla a propria volta per domandargli le grazie". L'anima generosa di Enrico aveva sete di questa intimità ininterrotta con Dio che lo porterà a prendere in considerazione la chiamata alla vita religiosa e, dietro suggerimento del padre spirituale, la possibilità di abbracciare l'Ordine di San Domenico, che da poco era stato restaurato in Francia dal P. Lacordaire. Sarà però P. Jandel, uno dei primi compagni del Lacordaire, divenuto nel 1850 maestro generale dell'Ordine, ad accogliere e poi a seguire la formazione religiosa di questa eccezionale vocazione domenicana. Ricevette l'abito di San Domenico e il nome di fra Giacinto il 29 giugno 1856 nel noviziato della Provincia francese dei domenicani. Nonostante la giovane età Enrico era stato ordinato sacerdote in eterno il 17 maggio dal Vescovo d'Orleans che sapeva di dover far dono all'Ordine domenicano di una delle sue migliori speranze, notevole non solo per intelligenza, ma per pietà e zelo apostolico.
Enrico aveva conseguito il grado di baccelliere in teologia confutando la Vita di Gesù di D. Strauss, quest'opera avrebbe ispirato la scuola modernista che fra Giacinto affronterà con determinazione quando ricoprirà l'incarico di maestro dei Frati Predicatori. Gli anni di formazione religiosa furono segnati dalla sofferenza per la precarietà della salute e da un profondo abbandono in Dio e nei superiori che si manifestarono attenti premurosi nel mettere il giovane religioso nelle condizioni migliori per una ripresa. Enrico ripeteva frequentemente "Jacta super Dominum curam tuam"; la sua vita era già pienamente centrata in Cristo come esprime la sua invocazione: "Mio Gesù, cambiate tutto, guarite tutto, trasformate tutto in voi, affinchè tutto per voi si volga alla gloria della Santissima Trinità". Nonostante la sua salute non fosse migliorata, fra' Giacinto fece la professione solenne il 23 maggio 1859 a Santa Sabina nelle mani di P. Jandel, che, desideroso di ammettere definitivamente ai voti il suo discepolo migliore ( già suo segretario e sottomaestro dei novizi), aveva chiesto consiglio a Pio IX il quale approvava dicendo: "Che abbia almeno la consolazione di morire professo". P. Cormier esultava di gioia e meditava sull'impegno di fedeltà fino alla morte; convinto che si può avanzare verso il cielo solo nel quotidiano e che non è possibile realizzare la propria perfezione lontano dai luoghi dove si è mandati o in una regola diversa dalla propria. Scriveva: "Osserverò la mia regola in tutti gli incarichi, in tutti i luoghi che il Signore mi assegnerà e che sono altrettanti portici della sua casa, cioè del cielo".
D'ora in poi la sua vita sarà a servizio dell'Ordine: maestro dei novizi , priore provinciale di Tolosa, socio del maestro generale, sempre mostrò una fiducia assoluta e una perfetta obbedienza, ma secondo lo stile domenicano cioè prendendo le iniziative che derivavano dal suo incarico e offrendo lui stesso i suggerimenti che gli sembravano utili, agiva con semplicità senza dissimulare i difetti che pensava di avere. Si impegnò a ridare alla vita domenicana il suo splendore primitivo che la faceva capace di mostrare l'esempio di una santità cercata in comune secondo l'ideale di San Domenico. Si prodigò, quindi, nell'aiutare i fratelli nella vita spirituale, nell'esercizio delle virtù teologali e nella fedeltà al quotidiano e alle osservanze. Fu chiamato anche ad interessarsi delle Congregazioni religiose che si ispiravano al carisma domenicano, anzi ne fondò una: le domenicane Infermiere, fu anche per loro maestro di formazione religiosa. In lui rifulse in modo eminente la grazia della prudenza. Eletto 76º maestro generale dell'Ordine dei Frati Predicatori all'età di 72 anni, ricco di esperienza di governo, ma soprattutto di profonda vita interiore, in un periodo molto difficile per la Chiesa e per il mondo, P. Cormier si profuse nella carità della verità, convinto com'era che "Donare la verità è la più bella carità". Seppe con cura paterna tenere il suo Ordine ben unito e saldo nella fedeltà alla Chiesa e a San Domenico. Raccomanderà ai suoi fratelli di non aver vergogna di appartenere a una "scuola tradizionale". "Dichiarerete senza tentennare che per voi, la scuola tradizionale non è una scuola, è la Chiesa: il progresso stesso in essa è tradizionale". Per rispondere all'invito e ai bisogni della Chiesa (Leone XIII aveva invitato a riprendere lo studio della scolastica e in particolare di S. Tommaso d'Aquino) e per dare al suo Ordine nuovo impulso si adoperò con tenacia all'erezione dell'Università San Tommaso conosciuta sotto il nome di Angelicum. Voleva uno studium generalissimum che potesse accogliere studenti di tutto l'Ordine e in cui si insegnasse la dottrina del Dottore angelico.
Fra' Giacinto morì il 17 dicembre 1916, nel momento in cui, nella Chiesa della Minerva, l'Ordine dei Frati Predicatori celebrava il settimo centenario della sua approvazione.
La vita di P. Cormier avrebbe potuto passare inosservata, infatti non ebbe nulla di miracoloso, "la sua è una santità del quotidiano – ingrato, silenzioso, monotono – e, particolarmente, della fedeltà al giorno per giorno della vita religiosa. La vita cristiana è fatta di queste piccole cose, ma può divenire grande ed eroica". Furono la sua fedeltà e la sua prudenza soprannaturale che impressionarono i contemporanei: i papi da Pio IX a Pio X, i suoi superiori e confratelli, nonché i suoi penitenti tanto che ancora in vita godette fama di santità. Giovanni Paolo II il 20 novembre del 1994 beatificandolo e decretandone la memoria il 21 maggio lo ha indicato a tutti come modello, guida, testimone, intercessore nel cammino verso Cristo Gesù, figlio di Dio e unico Salvatore del mondo. Il suo corpo incorrotto riposa a Roma presso la chiesa dei Santi Domenico e Sisto.
Tra i figli più degni che l’Ordine Domenicano ha avuto e che ha brillato di mite e candida luce, e che è stato per questo dalla Chiesa coronato con il titolo di Beato, c’è Padre Giacinto Cormier.
Nato a Orleans nel 1832, in seminario egli sentì la vocazione domenicana e, appena ordinato
sacerdote, tra le lacrime del suo Vescovo, nel 1856, partì per il Noviziato di Flavigny.
Formò subito l’incanto dei superiori e dei novizi, i quali si contendevano la gioia di poter servire la messa del Padre Giacinto, che all’altare pareva un angelo.
Repentini e improvvisi fiotti di sangue fecero temere seriamente per la sua salute.
L’allora Maestro Generale, Padre Jandel, che non voleva perdere quella preziosa perla domenicana, decise di portarselo con se a Roma.
Il male persistette, ma Papa Pio IX dette l’ordine di farlo professare lo stesso: “Se non potrà vivere religioso, disse il Beato Pontefice, abbia almeno la consolazione di morire Professo!”.
Il Signore allora lo arricchì di tutti i doni, doni di natura e di grazia, e il più splendido è quella sua meravigliosa attitudine a comunicare ai fratelli gli inesauribili tesori del suo spirito.
Nominato subito Maestro dei Novizi, e successivamente Priore, riuscì a meraviglia in ogni ufficio.
Restaurata la Provincia di Tolosa, la più antica dell’Ordine, ne venne messo a capo.
Qui fu il principio di un immenso lavoro. Nel 1904 venne eletto Maestro Generale.
Volle “instaurare omnia in Dominico” seguito gioiosamente dai suoi figli. Il Collegio Angelico in Roma rimane la più espressiva delle sue opere.
Il 17 dicembre del 1916, mentre l’Ordine in festa celebrava alla Minerva il settimo centenario della conferma papale, spirò come un santo, in una cella del Convento di San Clemente in Roma.
É sepolto nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto presso la Pontificia Università di San Tommaso, già Pontificio Ateneo “Angelicum”, che egli fondò nel 1909.
Chiamato da Papa San Pio X il “santo di Roma”, venne dichiarato Beato da Papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994.
La memoria liturgica cade nell’anniversario della sua elezione a Maestro dell’Ordine.

Associazione dei devoti al Beato giacinto Maria Cormier
Nell´anno 1989 è tornato in Repubblica Ceca dal suo esilio Padre Jiří Maria Veselý. Ha tenuto qui varie conferenze su Padre Cormier ed ha intimato suoi ascoltatori alla venerazione verso detto Padre. Sotto il suo impulso la Suora Veronika Kamila Planer, III. ordine OP, ha dipinto cinque portreti del P. Cormier. Due (1993) si trovano oggi sulla Università Papale di San Tomaso – Angelico a Roma, il terzo (1996) è collocato nella capella del convento OP a Olomouc, il quarto (1996) si trova nella chiesa dei domenicani a Uherský Brod, e la quinta, la abbiamo a Brno.
Dopo la beatificazione di Giacinto Maria Cormier nell´anno 1994 ha portato Padre Veselý due custodie con reliquie del Beato. Una è stata donata alla pittrice Veronika Kamila Planer, l´altro poi al Padre Tomáš Bahounek, OP.
Le custodie di reliquie sono qui oggetto non soltanto di venerazione privata, ma pubblica.
Dal 1989 Padre Veselý esortava i suoi ascoltatori a fondare a Brno un centro di evangelizzazione e di istruzione con l´intenzione di chiamarlo, similmente come quello a Roma, Angelico. Desiderava di fare da questo Angelico di Brno un centro di rinnovazione spirituale, morale e culturale della società
In data di 5/10/1999 si sono radunati i Frati e le Suore di Brno per fondare la «Prima Associazione dei devoti al B. Giacinto Maria Cormier O.P. ». Da quel tempo s' incontrano regolarmente, dedicano le loro attività alla evangelizzazione, sopprattutto tramite l'arte, per mezzo della pubblica istruzione e servizi ai malati. La gestione viene eseguita da parte del Padre Tomáš Jiří Bahounek nello spirito del B. Cormier. Nello spazio di tempo degli anni 1994-1999 la detta comunità aveva ottenuto grandi grazie, espressamente per l´intercessione del Beato Giacinto Cormier OP (molte conversioni, casi di esaudimento nelle gravi difficoltà, grazie ampie nella vita di ogni giorno, due casi di vocazione alla vita consacrata, ecc.).
Questa Associazione d´amici del Beato Cormier conferma la comunità spontaneamente fondata e da tempo esistente. Nei suoi programmi entrano le intenzioni dei venerabili Padri (Innocenzo Venchi OP,Alfred Wilder OP, Alce Venturino OP, Stjepan Krasic OP a Jiří Maria Veselý OP), proclamate nella loro opera comune "Segno del tempo“, edita anche in lingua ceca (Casa Ed. JiMfa Třebíč 1997), i quali dimostrano la loro amicizia sincera verso il Beato Cormier e continuano qui a Brno nelle sue opere pie. Gli amici del B. Cormier hanno elaborato le Costituzioni della Associazione. In data di 16/3/2000 le Costituzioni sono state collaudate da parte del vescovo Mons. Vojtěch Cikrle sotto il N° della pratica Ep/1600/99. Con il Decreto N° Ep/1600/1/99 il vescovo di Brno ha concesso alla Associazione la soggettività giuridica ai sensi del can. 322, § 1 CIC. Dalla data di 21/4/2000 la Associazione è stata evidenziata ai sensi dela legge 308/1991 Registro Leggi della Rep. Ceca.
L´Associazione è aperta nello spirito ecumenico ai tutti i cristiani di buona volontà. Unisce soprattutto artisti e loro collaboratori, i quali vengono legati per mezzo della loro fede cristiana alla venerazione particolare verso il B. Giacinto Maria Cormier. L'associazione pratica regolarmente (1 volta alla settimana) la recita comune del S. Rosario, svolge le sue attività nell´ambito della cura per i malati, e si dedica alle attività creatrici prestando l'istruzione.
L'associazione pubblica la sua propria rivista dedicata alla vita spirituale, Rosa mystica.
In media la rivista contiene 28 pagine. Esce 1 volta al mese in tiratura di 1000 esemplari. È destinata prima di tutto agli studenti.Il prezzo è volontario. La rivista viene apprezzata soprattutto da parte delle guide spirituali, dato che nella Repubblica ceca si tratta di rivista unica del genere, occupante si con la vita spirituale. Nella rivista vengono pubblicati articoli di prosa e poemi di giovani artisti cristiani.
Dai suoi mezzi finanziari la Associazione pubblica anche libri e li distribuisce gratis soprattutto fra gli studenti e ciò in quantità fra 1000 – 1500 esemplari. Finora ha pubblicato seguenti titoli:
Quale é il tuo destino (Jaký je tvůj osud), 170 pp, Gloria Rosice, 1999
Chiamerai il mio cuore (Zavoláš srdce mé), 96 pp, Olprint brno, 2000
L´avventura d´un angelo (Andělské dobrodružství), 250 pp, Gloria Rosice, 2000
Guida tascabile per il proprio destino (Kapesaní průvodce po vlastním osudu), Olprint Brno, 2001
Meditazioni loretane (Loretánské meditace), Gloria Rosice, 2001
Perché credo (Proč věřím) secondo S. Tommaso d´Aquino, Spiegazione della preghiera Padre nostro, 24 pp, Olprint Brno 2002
Le lettere da Lemberk (Dopisy z Lemberka), 80 pp, Olprint Brno, 2002
La nobiltà del rosario (Vznešenost růžence), 20 pp, Olprint Brno, 2003
Tre passi verso il cielo (Tři kroky do nebe), 116 pp, Olprint Brno, 2003
Grida della Regina del rosario (Volání Královny růžence), 48 pp, Olprint Brno, 2003
Dieci messaggi per te (Deset vzkazů pro tebe), 48 pp, Olprint Brno, 2004
Martino dell´amore, Messaggero della vita eterna, La vita di San Martino di Porres (Martin od lásky, Posel věčného života, Život sv. Martina de Porres), 68 pp, Brno 2004
Tutti i libri soppra elencati sono stati illustrati da parte della Suora Veronika Kamila Planer. Il retro d´ogni libro porta l´effigie di B. Giacinto Maria Cormier.
Discorso di Giovanni Paolo II ai Pellegrini convenuti a Roma per la Beatificazione di Padre Louis Stanislas Henri Marie Cormier Lunedì, 21 novembre 1994
Cari Fratelli nell’ Episcopato,
Cari amici dell’ Ordine di San Domenico,
Cari Fratelli e Sorelle,
1. È con gioia ed emozione che vi ritrovo all’indomani della Solennità di Cristo Re nel corso della quale mi è stato concesso di annoverare fra i beati Padre Hyacinthe-Marie Cormier, Madre Marie Poussepin, Suor Agnès de Jésus, Suor Eugénie Joubert e Frate Claudio Granzotto. Cinque nuove figure si presentano oggi ai nostri occhi, cinque adoratori di Cristo, che in epoche diverse e in circostanze molto differenti, hanno avuto un unico fine: dimostrare che la vita ha un senso solo se è donata a Dio, vissuta per Lui, con Lui e in Lui.
2. Come ho già fatto notare ieri, tre dei nuovi Beati appartengono alla grande famiglia dei Figli di San Domenico. Essi testimoniano, anche dopo la loro morte, la vitalità dell’ Ordine che, fondato più di sette secoli fa, non ha mai smesso di essere una luce per la Chiesa e un prezioso sostegno per i miei predecessori. Attraverso il ministero della predicazione, che è al centro dell’intuizione dei loro fondatori, i Domenicani hanno attraversato l’Europa e poi il mondo intero, annunciando la Buona Novella del Signore morto e risorto, l’unica in grado di riempire una vita umana.
La loro opera evangelizzatrice non sarebbe stata possibile senza un’intensa preparazione dell’intelletto alla scoperta e alla messa in luce delle Scritture in cui Dio si rivela e si comunica allo spirito umano. Non occorre sottolineare ancora la qualità del lavoro intellettivo fornito dai “frati predicatori”. È sufficiente ricordare i nomi di Alberto il Grande o di Tommaso d’Aquino, fra gli altri, per intuire fino a che punto lo “Splendore della Verità” possa illuminare un essere umano quando “lo Spirito si unisce al suo spirito” (cf.
Rm 8, 16).
La semplice rievocazione di questi nomi prestigiosi costituisce oggi un appello per ciascuno di voi a ravvivare la fiamma e a trasmettere agli altri ciò che voi stessi avete ricevuto. L’insigne figura di Padre Cormier vi invita a far ciò in modo particolare, poiché voi conoscete il valore che attribuiva allo studio delle Sacre Scritture, che definiva a giusto titolo una “fonte di apostolato” (P. Cormier,
Lettera del 27 settembre 1912). I suoi rapporti con padre Lagrange sono volti alla fondazione dell’Università dell’Angelicum, il che esorta a ribadire l’importanza di una buona formazione dell’intelletto cristiano. Sono lieto di menzionare a questo proposito l’opera di Padre Yves Congar, recentemente chiamato a entrare nel Collegio dei Cardinali. E non posso che far mie le riflessioni di uno dei Maestri dell’Ordine di questo secolo: nella nostra epoca, “bisogna compiere un serio sforzo per confrontare in mutua fecondità le conclusioni della scienza e della filosofia moderne con le intuizioni di San Tommaso” (P. de Couesnongle, Lettera del 22 dicembre 1975).
3. La necessità di un lavoro teologico serio - caritas veritatis - non ci farà mai dimenticare l’urgenza di un’azione decisa a favore del nostro prossimo. Lo ribadisco con forza: veritas caritatis; se c’è una “carità della verità”, c’è anche una “verità della carità”. E, in questo, le figure di Marie Poussepin, di Agnès di Langeac e di Suor Eugénie Joubert ci sono particolarmente preziose come testimonia, mie care sorelle, la vostra presenza questa mattina fra noi. Esse ricordano in particolare l’importanza della vita contemplativa e della preghiera che, accendendo di amore verso Dio un uomo o una donna, permette loro di amare i propri fratelli.
Voi ricordate la via indicata dalla Beata Marie Poussepin alle sue sorelle: il servizio nella parrocchia, l’istruzione dei giovani, la cura dei malati. Questo triplice obiettivo ci ricorda che non è necessario andare molto lontano per mettersi al servizio del prossimo. È innanzitutto nelle comunità parrocchiali che bisogna lavorare per la venuta del Regno di Dio. Bisogna trasmettere ai giovani la fede e l’amore della Chiesa. È vicino a voi, nel vostro paese, nella vostra strada, che bisogna continuare a servire i poveri affinché Dio sia “tutto in tutti” (
1 Cor 15, 28). Religiosi e laici sono profondamente uniti in queste difficili, ma esaltanti missioni, in questo appello universale alla santità mediante la carità e l’umiltà di Cristo al servizio degli uomini, loro fratelli (cf. Lumen gentium, 42).
4. Carissimi Fratelli e Sorelle, insieme con tutta la Chiesa lodiamo e ringraziamo il Signore per i luminosi esempi di virtù e santità offerti dal Beato Claudio Granzotto. La sua vita è stata una splendida testimonianza della ricchezza e della gioia della vita consacrata. Dopo avere cercato Dio nel silenzio, nella preghiera e nella carità verso i poveri e gli ammalati, Fra Claudio ha saputo esprimere attraverso l’arte di scultore la profondità del suo animo francescano, innamorato dell’infinita bellezza divina.
Ai giovani il Beato Claudio indica l’impegno di ricercare la Verità evangelica e di viverla con il suo stesso entusiasmo, trovando in Cristo l’ispirazione, l’energia ed il coraggio di annunciarla agli uomini del nostro tempo. Agli artisti suggerisce lo spirito di servizio, con cui proporre l’inesauribile mistero dell’incarnazione di Cristo attraverso il linguaggio dell’arte. Agli infermi, infine, rivolge un messaggio di condivisione e di speranza, invitandoli ad offrire le proprie sofferenze, in unione al Crocifisso, per il bene della Chiesa e del mondo.
L’esempio e l’intercessione di questo umile figlio di Francesco d’Assisi incoraggi ciascuno a proseguire con fedeltà e costanza sulla via della santità, rispondendo generosamente all’universale chiamata alla santità e mettendo a frutto i doni ricevuti dal Signore.
5. Benedetto sia Dio che ci concede ogni giorno la grazia di vivere per Lui e la forza di seguirlo, come hanno fatto i Santi e i Beati! Affinché Egli vi accompagni tutti i giorni e vi aiuti a compiere la vostra missione, vi imparto di tutto cuore la mia benedizione apostolica.
A tutti la mia benedizione con l’augurio di un rinnovato impegno di vita cristiana sulle orme e con l’aiuto dei nuovi Beati.
Scritti sul Beato Marie Cormier
Beato Giacinto Maria Cormier "Governare e appartenere a Dio" (Spiritualità)
Guy-Thomas Bedouelle - Gilles Berceville - Giacinto Maria Cormier
Padre Giacinto Maria Cormier (1832-1916) è una delle figure più significative della recente storia dell´Ordine Domenicano.
76° Generale dell´Ordine, fondatore dell´Angelicum, è stato un vero maestro di formazione religiosa. Questo libro presenta la sua biografia, scritta dal Padre G. Bedouelle, e un’ antologia dei suoi scritti curata dal Padre G. Berceville. Il volume comprende 16 illustrazioni fuori testo. Il Martyrologium Romanum lo pone al 17 dicembre.
(Autore: Franco Mariani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacinto Maria Cormier, pregate per noi.

*San Giovanni de Matha - Sacerdote (17 dicembre)

Faucon (Alpes-de-Haute-Provence - Francia), 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213
Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a 40 anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, divenendo sacerdote.
Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli accade qualcosa di straordinario.
Mentre celebrava gli comparve una visione: un Uomo dal volto radioso, che teneva per mani due uomini con catene ai piedi, l'uno nero e deforme, l'altro pallido e macilento; quest'uomo gli indicò di liberare queste povere creature incatenate per motivi di fede.
Giovanni De Matha comprese immediatamente che quell'uomo era Gesù Cristo Pantocratore, che rappresentava la Trinità, e gli uomini in catene erano gli schiavi cristiani e musulmani.
Capì, quindi, che sarebbe stata questa la sua missione di sacerdote: quella di liberare gli schiavi cristiani in Africa.
Si ritirò in campagna per meditare sull'impresa e fondò, nel 1194, in Cerfroid, a poco meno di cento chilometri da Parigi, con quattro eremiti l'Ordine della Santissima Trinità (“Ordo Sanctae Trinitatis et redemptionis captivorum”), dall'austera regola.
Ottenuta l'approvazione di Innocenzo III il 17 dicembre 1198 con la bolla Operante divinae dispositionis, partì per il Marocco.
Iniziarono così i primi riscatti di schiavi. Il tema era allora molto sentito, tanto che san Pietro Nolasco fondò nel 1218, con lo stesso scopo, i Mercedari. Giovanni morì a Roma - dove il Papa gli aveva donato la chiesa di San Tommaso in Formis sul Celio -, ma nel Seicento il suo corpo venne portato a Madrid. Fu santificato nel 1666.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Roma sul monte Celio, San Giovanni de Matha, sacerdote, che, francese di origine, istituì l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi.
Questo provenzale di Faucon, docente di teologia all’Università di Parigi, si fa prete tardi, sui 40 anni. Poi lascia la cattedra, perché un "segno gli ha rivelato la sua vera missione": dedicarsi al riscatto degli schiavi cristiani in Africa.
La pirateria mediterranea, negli assalti in mare e nelle scorrerie a terra, rastrella gente giovane e va a venderla sui mercati nordafricani.
Giovanni de Matha si ritira per riflettere a Cerfroid, una campagna solitaria a 70 km da Parigi, dove spiega l’idea a quattro eremiti, che l’accettano di colpo.
In tre anni nasce la struttura. Ossia l’Ordine della Santissima Trinità (abito bianco con croce rossa e azzurra sul petto, cappa e cappuccio neri).
Si basa su comunità piccole e agili, con regola austera e niente ambizioni estetiche per le chiese e i riti. L’elemosina raccolta da appositi collettori va per un terzo al mantenimento dei monaci, per un terzo all’assistenza di malati e pellegrini, e per un terzo al riscatto degli schiavi.
Ottenuta l’approvazione del papa Innocenzo III, nel 1199 parte la prima spedizione per il Marocco.
I Trinitari (così li chiamano) visitano mercati, prigioni, luoghi di lavoro, trattano con autorità e padroni, e liberano con regolare scrittura di riscatto i primi duecento schiavi; un notaio registra tutto, e così si farà sempre.
I marsigliesi si commuovono vedendo sbarcare quei duecento, con Giovanni de Matha che li accompagna alla cattedrale cantando il salmo In exitu Israël de Aegypto.
(Il problema degli schiavi è all’ordine del giorno: con una missione analoga nel 1218 san Pietro Nolasco fonderà a Barcellona i Mercedari).
Nel 1209 l’Ordine avrà 30 case, e 600 verso il 1250, soprattutto in Francia e Spagna. Agli ex schiavi malati o senza famiglia dà accoglienza nei suoi ospizi.
Tra il 1199 e il 1207 il fondatore si lancia in un attivismo frenetico, per aumentare i centri di accoglienza, trovare denaro da ricchi e da poveri, moltiplicare le spedizioni di riscatto. Papa Innocenzo gli dona a Roma la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis sul Celio, dove Giovanni crea un altro ospizio. E qui muore il 17 dicembre 1213. Nel 1665 due frati trinitari tolgono il suo corpo dalla chiesa (il convento ha cambiato proprietà) e lo portano a Madrid. L’ordine soccombe poi alle soppressioni regie e rivoluzionarie del Sette-Ottocento, ma rinasce nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza ospedaliera e ministero.
Manca una storia completa dei riscatti: il religioso che vi lavorava, padre Domenico dell’Assunta, fu ucciso nella guerra civile spagnola (1936) e il materiale andò perduto.
Ricordiamo tuttavia un nome: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore di Don Chisciotte. Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà liberato cinque anni dopo dal trinitario spagnolo fra Juan Gil.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni de Matha, pregate per noi.

*San Giudicaele (Judicaël) - Re di Bretagna (17 dicembre)

590 circa – 658 circa
San Giudicaèle (Judicaël), fratello di San Giudoco, in un primo tempo entrò in monastero sotto la guida di San Mavenno (Mèen), ma poi rivendicò i suoi diritti al trono di Bretagna. Governò con saggezza, riportando la pace tra i Bretoni e i Franchi. Dopo aver abdicato al regno, si dice abbia passato gli ultimi anni della sua vita nel monastero di Saint-Mèen.
Martirologio Romano: Nella Bretagna in Francia, San Giudicaele, che promosse con ogni mezzo la pace tra Bretoni e Franchi e, deposto l’incarico di re, si dice si sia ritirato nel monastero di Saint-Méen.
La Bretagna, odierna regione della Repubblica Francese, a cavallo tra VI e VII secolo fu il territorio su cui regnò San Giudicaele, sicuramente uno tra i sovrani santi meno noti nella folta schiera di santità che ha affollato le corti europee nel corso dei due millenni dell’era cristiana.
San Judicaël nacque all’incirca nel 590 e fu battezzato da un prete di nome Guodenon. Sino all’età di tre anni fu allevato a casa di suo nonno Ausoche, per poi passare alla corte del re di Bretagna Judhaël, suo padre, alla morte del quale avrebbe dovuto succedere alla corona essendo il primogenito tra tutti i suoi fratelli.
Egli profuse dunque ogni forza nell’assicurarsi il trono, arrivando a sostenere i suoi diritti anche con l’uso delle armi. Ma Salomone II, suo fratello e suo competitore, lo battè ed conquistò così il trono verso il 605 circa.
Ora però non gli restò che rinunciare al mondo e vestire gli abiti di penitente, all’età di soli vent’anni, entrando nel monastero di Saint-Jean de Gaël sotto la preziosa guida di San Meen.
Tutta la Bretagna, afflitta per il ritiro del suo principe, grazie al quale aveva conosciuto grandi
speranze, ammirò questa sua grande scelta, presa non senza una dovuta riflessione, che mise ancor più in risalto le sue splendide qualità.
Le numerose leggende sorte sul suo conto narrano cose meravigliose circa il fervore che lo pervase. La sua ascesi fu sin da subito estrema ed avrebbe raggiunto addirittura dei grandi eccessi, se la saggia discrezione di San Meen non l’avesse moderata. Numerosi altri fatti relativi alla sua permanenza in monastero sono inoltre narrati da dettagliati quanto fantasiosi racconti leggendari.
Non era passato molto tempo dal suo ingresso nel convento, che giunse già per Judhaël il momento della tonsura clericale e ricevette l’abito monacale, segni del suo ingresso ufficiale nella vita religiosa.
Un giorno però, quasi inaspettatamente, il santo abate Meen rese la sua anima a Dio, lasciando i suoi discepoli in una grande afflizione che nulla fu capace di consolare.
Judhaël decise allora di lasciare il chiostro alla morte di suo fratello Salomone II, verso l’anno 630, riprendendo gli abiti secolari ed assumendo finalmente la corona di Bretagna. Edificò tutta la famiglia reale e tutta la corte con l’esempio delle sue virtù.
Sposò Meronoë (o Merovoë), donna proveniente dalla stessa famiglia e dallo stesso paese della regina sua madre. Anch’ella si dimostrò virtuosa come il marito, impregnata di fede e di pietà, e tutto ciò contribuì a mantenere tra loro una pace ed una concordia ammirabili. Governò il regno con autorità e saggezza, puntando principalmente al rispetto della Legge di Gesù Cristo.
Le sue qualità diplomatiche gli permisero di concludere una pacifica alleanza con il re dei franchi Dagoberto. Fatto ciò, decise di abdicare per tornare nuovamente alla vita monacale. Nel 640 circa si ritirò dunque nel monastero di Gaël, ma secondo altri in quello di Paimpont da lui fondato.
La morte lo colse il 16 dicembre di un anno imprecisato, forse il 658. In tale data è commemorato dalle diocesi di Quimper e Léon, mentre nel Martyrologium Romanum compare il giorno successivo.
Oggi nella chiesa di Saint-Meen si custodisce solo più la parte inferiore di un femore, mentre il resto delle reliquie di San Judhaël scomparvero al tempo della Rivoluzione Francese.
L’iconografia è solita raffigurare il santo con una corona ai suoi piedi e con una scopa in mano, caratteristica dei personaggi che rinunciarono ad una vita brillante secondo il mondo per abbracciare con gioia i servizi più umili nel chiostro.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giudicaele, pregate per noi.

*Beato Josè Giuseppe Manyanet y Vives - Sacerdote (17 dicembre)
Tremp (Lleida, Spagna) 7 gennaio 1833 - Barcellona (Spagna) 17 dicembre 1901
“Dio ha chiamato i fedeli a contemplare ed imitare la Santa Famiglia per mezzo del Beato José Manyanet, sacerdote” (Mess. Romano), è quindi l’apostolo della Sacra Famiglia di Nazareth e il profeta della famiglia.
Nella casa di Nazareth trovò il modello per le comunità religiose, il Vangelo per la famiglia e la pedagogia per i suoi centri di apostolato.
Fondò le congregazioni di Religiosi Figli della Sacra Famiglia Gesù, Maria e Giuseppe e le Missionarie Figlie della Sacra Famiglia di Nazareth e fu l’ispiratore del Tempio espiatorio della “Sagrada Familia”, di Barcelona, opera dell’architetto Antonio Gaudí, in processo di beatificazione.
Etimologia: José: deriva dall’ebraico Josef, che significa: [Dio] voglia aggiungere.
Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, San Giuseppe Manyanet y Vives, sacerdote, che, fondò la Congregazione dei Figli e delle Figlie della Sacra Famiglia per aiutare tutte le famiglie a divenire esemplari sul modello della santa famiglia di Nazareth di Gesù, Maria e Giuseppe.
Nacque a Tremp (Lleida, Spagna) il 7 gennaio 1833 da una famiglia numerosa e cristiana. Fu ordinato sacerdote in La Seu d’Urgell il 9 aprile 1859.
Dopo dodici anni d’intenso lavoro al seguito del vescovo José Caixal e al servizio della curia diocesana, si sentì chiamato da Dio alla speciale consacrazione religiosa e a fondare due congregazioni con la missione d’imitare e propagare il culto della Famiglia di Nazareth e di procurare la formazione cristiana delle famiglie, specialmente con l’educazione e l’istruzione cristiana dei ragazzi e dei giovani, e con il ministero sacerdotale.
Spinto dal carisma ricevuto, scrisse varie opere ed opuscoli per propagare la devozione alla Santa Famiglia, per la formazione dei religiosi e delle famiglie e per la direzione dei collegi e delle scuole professionali.
Fondò la rivista “La Sagrada Familia” e le associazioni laicali “Camerieri e Cameriere della Sacra Famiglia” - oggi “Associazione della Sacra Famiglia”-, vincolata ai suoi Istituti, per diventare discepoli, testimoni ed apostoli del mistero di Nazareth.
Peregrinò a Lourdes, Roma e a Loreto per approfondire lo spirito della Famiglia di Nazaret.
Questo è il carisma proprio che penetra tutta la sua vita, racchiusa nel mistero di una vocazione evangelica appresa dagli esempi di Gesù, Maria e Giuseppe nel silenzio di Nazareth, che egli esprimeva così: Una Nazareth in ogni focolare!
Minato nella salute da alcune piaghe del costato rimaste aperte per ben sedici anni - ch’egli chiamava “le misericordie del Signore” -, il 17 dicembre 1901 tornò alla casa del Padre, in Barcellona, centro del suo apostolato, attorniato dai ragazzi, con la stessa semplicità che caratterizzò tutta la sua vita.
Le ultime parole furono le giaculatorie che tante volte aveva ripetuto in vita: Gesù, Giuseppe, Maria... Fu beatificato il 25 novembre 1984 da Papa Giovanni Paolo II.
Tra i bei frutti della sua vita emergono 19 religiosi e un giovane ex-allievo che morirono a causa della sua fede e vocazione nella persecuzione religiosa della Spagna del 1936-39, in processo di dichiarazione di martirio.
Nel Centenario della sua morte, Giovanni Paolo II ha ribadito la importanza di evangelizzare oggi la famiglia e fortificare il matrimonio con la gran forza pastorale che scaturisce dalla proposta e l’esempio della Sacra Famiglia, come fece il Beato.
La sua festa liturgica è stata fissata dalla Congregazione per il Culto - dopo la beatificazione - per il 16 dicembre. Il Nuovo Martyrologium Romanum pone la data al 17 dicembre. É stato proclamato Santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.
(Autore: J.M. Blanquet, S.F. – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Josè Giuseppe Manyanet y Vives, pregate per noi.

*Santi Martiri di Eleuteropoli (17 dicembre)

Si tratta di cinquanta soldati, che al tempo dell'imperatore Eraclio furono martirizzati dai Saraceni.
Martirologio Romano: A Eleuteropoli in Palestina, passione di Santi cinquanta soldati, martiri, che, al tempo dell’imperatore Eraclio, furono uccisi per la loro fede in Cristo dai Saraceni che assediavano Gaza.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Eleuteropoli, pregate per noi.

*Beata Matilde del Sagrado Corazon Tellez Robles - Fondatrice (17 dicembre)
Robledillo de la Vera, Spagna, 30 maggio 1841 - 17 dicembre 1902
Fondò la Congregazione delle Figlie di Maria Madre della Chiesa. Educata fin da piccola nella fede cristiana, molto giovane decise di dedicarsi totalmente al Signore, nonostante il padre volesse per lei una brillante vita sociale. Oggi la congregazione è presente in Spagna, Portogallo, Italia, Venezuela, Colombia, Perù, Messico.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Don Benito vicino a Badajoz in Spagna, Beata Matilde del Sacro Cuore Téllez Robles, Vergine, che, vedendo nel prossimo suo l’immagine di Cristo stesso, si dedicò con premura all’aiuto anzitutto materiale, ma anche spirituale, dei bisognosi e fondò a tal fine la Congregazione delle Figlie di Maria Madre della Chiesa.
Come da copione: un’altra vocazione forte, limpida, entusiasta, contrastata da un papà che sogna per
la propria figlia un buon partito e un roseo avvenire. Matilde Téllez Robles nasce nel 1841 in Spagna, nei pressi di Cáceres, ma quasi subito la famiglia si trasferisce vicino a Salamanca.
In famiglia si respira un clima profondamente cristiano, soprattutto per merito di mamma, che ai suoi quattro figli insegna subito ad amare il Signore e ad essere attenti ai bisogni dei poveri. Anche papà, notaio famoso e facoltoso, è un buon cristiano, ma per i suoi figli vuole una brillante vita sociale e resta profondamente deluso dalla sua secondogenita, che invece manifesta fin da bambina i chiari segni della vocazione religiosa. E dato che questa con il passar degli anni non accenna a diminuire, anzi arriva quasi al punto di concretizzarsi, papà passa all’attacco cronometrando il tempo che la figlia passa in chiesa e costringendola ad entrare nella vita di società.
Ma non è certamente tutto questo che può incrinare una vocazione solida, anzi alla fine chi deve cedere è proprio papà, che si vede costretto a lasciar libera Matilde di seguire la sua inclinazione. Il che equivale a lasciare un puledro a briglie sciolte: la ragazza si tuffa nell’apostolato, è presidentessa delle Figlie di Maria, infermiera per le Conferenze di San Vincenzo, catechista e insegnante volontaria, in una vorticosa attività che ha come centro e motivo ispiratore un solo pensiero: portare le anime a Cristo. Soprattutto, quella giovane ragazza si sente attirata dall’Eucaristia, brucia di amore per quella silenziosa Presenza nel tabernacolo, trascorre intere ore in adorazione, coniugando in modo intelligente azione e contemplazione.
A poco più di 30 anni scrive al papa Pio IX per confidargli il desiderio, coltivato da anni, di fondare un istituto religioso, ma è di nuovo papà ad ostacolarla, questa volta a causa del clima anticlericale che si respira in Spagna. Quando è finalmente libera di realizzare la sua vocazione, delle sette compagne disposte a seguirla ne è rimasta una sola, con la quale accoglie in casa un gruppo di orfanelle, si dedica all’insegnamento delle bambine povere e passa di casa in casa a curare i malati.
Nascono così, in mezzo alle critiche di chi ritiene quella fondazione un’autentica pazzia, le “Amanti di Gesù e Figlie di Maria Immacolata”. Nella loro casa si respira lo spirito di Nazaret, tutta la vita ruota attorno al tabernacolo, la Madonna è amata in modo particolare. Così le suore trovano il coraggio di tuffarsi anche in una terribile epidemia di colera, di trascorrere tanto tempo in adorazione, di dedicarsi interamente ai poveri e ai malati, fedeli al motto “Preghiera, azione, sacrificio” trasmesso loro da Matilde. Che a soli 61 anni è completamente consumata dalla sua dedizione, dall’intenso lavoro, dalle malattie e muore improvvisamente il 17 dicembre 1902, attorniata dalle sue figlie.
Queste, oggi, si chiamano “Figlie di Maria Madre della Chiesa, sono presenti in Europa e in America Latina e continuano ad essere una “eucaristia perenne” come ha insegnato loro la fondatrice, che Giovanni Paolo II ha beatificato il 21 marzo 2005.
(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Matilde del Sagrado Corazon Tellez Robles, pregate per noi.

*Modesto - Patriarca di Gerusalemme (17 dicembre)

Martirologio Romano: A Gerusalemme, San Modesto, vescovo, che, dopo che la conquista e la devastazione della Città Santa da parte dei Persiani, ricostruì i monasteri e li popolò di monaci e con grandi sacrifici restaurò i luoghi santi distrutti dal fuoco.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Modesto, pregate per noi.

*Sant' Olimpia - Vedova (17 dicembre)

Nacque verso il 361 da un'agiata famiglia di Costantinopoli. Divenuta orfana in giovane età, fu affidata per l'educazione a Teodosia, sorella del vescovo di Iconio, Sant'Anfilochio. Fin da giovanissima, così, Olimpia fu istruita sulla Sacra Scrittura. Imitando santa Melania, si dedicò alla mortificazione, e pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte imperiale, se ne allontanò.
Nel 384-85 si sposò ma dopo solo venti mesi il marito morì; l'imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò. Teodosio allora per vincere le sue resistenze le sequestrò tutti i suoi beni, che le vennero restituiti nel 391. Fu così che Olimpia ne approfittò per fondare alcune opere caritative.
Il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all'usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni.
Olimpia fondò in città un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città. Al suo arrivo in città come arcivescovo, Giovanni Crisostomo trovò in Olimpia una valida collaboratrice. Ma fu anch'essa vittima della persecuzione contro i "giovanniti" (seguaci di san Giovanni Crisostomo). Fu infatti esiliata a Nicomedia. Morì verso il 408. (Avvenire)
Etimologia: Olimpia = che abita nell'Olimpo, sede degli dèi
Di questa Santa dell’agiografia greca, non ci sono dubbi sulla sua ‘Vita’ perché ci sono pervenuti vari importanti documenti storici e contemporanei che la citano o descrivono; inoltre vi sono ben 17 lettere che le inviò, dal suo esilio, s. Giovanni Crisostomo.
Olimpia nacque verso il 361 da una agiata e distinta famiglia di Costantinopoli, suo nonno Ablabios godeva della stima dell’imperatore Costantino ed era stato prefetto di Oriente quattro volte, suo padre era conte di palazzo.
Divenuta orfana in giovane età, fu posta sotto la tutela di Procopio prefetto della capitale, il quale l’affidò per la sua educazione a Teodosia, donna di grande cultura e sentimenti cristiani, sorella del vescovo di Iconio Sant’ Anfilochio; di lei avevano grande stima sia San Basilio che San Gregorio di Nazianzo, Dottori della Chiesa; s. Gregorio di Nissa le dedicò il suo commento al ‘Cantico dei Cantici’.
Fin da giovanissima, Olimpia ebbe lezioni sulla Sacra Scrittura, considerata da altre dame della società, come s. Melania l’Anziana, la via per giungere alla perfezione cristiana; e imitando Santa Melania, si dedicò alla mortificazione, ella pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte essendo ricca, istruita e nobile, invece se ne allontanò.
Nel 384-85, sposò Nebridio che fu prefetto di Costantinopoli nel 386, ma la sua felicità durò poco, dopo solo venti mesi il marito morì; l’imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò dicendo: “Se il mio re avesse voluto che io vivessi con un uomo, non mi avrebbe tolto il mio primo”.
Teodosio considerò ciò un capriccio e per vincere le sue resistenze, le sequestrò tutti i suoi beni, finché non avesse compiuti 30 anni; il prefetto della città aggiunse il divieto di intrattenersi con i vescovi più illustri e perfino di andare in chiesa.
Ma nel 391, Teodosio visto la sua virtù e la costanza nella prova di Olimpia, che conduceva una vita di penitente povera, le restituì i suoi beni. Lei ne approfittò per fondare a Costantinopoli alcune opere caritative, fra cui un grande ospizio per ricevere gli ecclesiastici di passaggio e i viaggiatori poveri.
Avendo una grande ricchezza e proprietà, sia in città che nelle altre regioni, altrettanto grande fu la sua generosità, donò a San Giovanni Crisostomo 10.000 denari d’oro e 20.000 d’argento per la sua chiesa di S. Sofia; il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all’usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni, mentre Olimpia ne aveva solo 30 e a lei ricorreva per consigli densi della sua scienza e saggezza.
Fondò sotto il portico meridionale di S. Sofia, un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città, fra cui tre sue sorelle Elisanzia, Martiria e Palladia, in più una sua nipote chiamata anch’essa Olimpia; iniziò con circa 50 suore che in breve tempo divennero 250.
Agli inizi del 398, giunse in città s. Giovanni Crisostomo che pur non volendo, era stato nominato arcivescovo di Costantinopoli, trovando un fervore cristiano affievolito sia nei fedeli che nel clero e monaci, fino alla corte divenuta oltremodo mondana con la presenza di Eudossia moglie dell’imperatore d’Oriente Arcadio.
Ma si consolò vedendo il monastero di Olimpia, formato da anime ben disposte e adatte a servire da modello. Tra l’arcivescovo e Olimpia si instaurò una salda amicizia, le tre sorelle furono ordinate diaconesse e affiancarono in questo compito Olimpia.
Si sforzava di aiutarlo in tutto, dal cibo al suo vestire, divenne in certo modo la collaboratrice nell’opera di rinnovamento spirituale da lui iniziata. Tutto questo attirò anche su di lei il rancore di coloro che intendevano intralciare l’opera riformatrice del vescovo.
Due dei vescovi dissidenti, ottennero da Arcadio un decreto d’esilio contro San Giovanni Crisostomo, il quale fra il tumulto dei fedeli e delle suore, dovette lasciare S. Sofia e venne condotto dai soldati a Cucusa fra i monti dell’Armenia, dove giunse affranto dal viaggio due mesi dopo, alla fine di agosto del 404. Nello stesso giorno della partenza, il 30 giugno 404, un incendio distrusse l’episcopio e gran parte della chiesa e del senato. Furono accusati i fedeli del vescovo e la stessa Olimpia fu portata davanti al prefetto della città Optato, accusata dell’incendio, si difese dicendo che avendo dato spese considerevoli per costruire chiese, non aveva nessuna necessità di bruciarle.
Optato le offrì di lasciare in pace lei e le sue suore, se avessero riconosciuto il nuovo vescovo Arsace e Olimpia rifiutò; fu condannata a pagare una grossa somma come multa e dopodiché nello stesso anno 405 si ritirò volontariamente a Cizico.
Giacché proseguiva la persecuzione contro i “giovanniti” (seguaci di s. Giovanni Crisostomo) Olimpia fu nuovamente processata dal prefetto e esiliata a Nicomedia. In quegli anni mantenne una corrispondenza (che le era permesso) con il vescovo esiliato in Armenia, interessandosi della sua
salute, inviandogli del denaro che veniva speso per i poveri della regione e per il riscatto di persone cadute nelle mani dei briganti isauriani.
Giovanni tramite questi scritti, descrive i particolari del penosissimo viaggio per giungere lì. La esorta a bandire la tristezza e a far nascere la gioia spirituale che distacca dalle cose del mondo ed eleva l’anima, raccomandandole di sostenere i suoi amici, che subivano la persecuzione per causa sua.
Olimpia morì verso il 408 in un data non documentata, secondo lo scrittore Palladio, “gli abitanti di Costantinopoli la pongono fra i confessori della fede, perché ella è morta ed è ritornata al Signore fra le battaglie sostenute per Dio”, anticamente i confessori erano i martiri.
Il suo monastero ebbe alterne vicende, le suore coinvolte nella disgrazia dell’arcivescovo, si dispersero nel 404, quando fu mandato in esilio; si riunirono solo nel 416, quando i “giovanniti” si riappacificarono con i successori del Crisostomo; sotto la guida di Onorina, parente di Olimpia; il monastero fu poi distrutto dall’incendio di Santa Sofia nel 532, ritornarono poi quando Giustiniano lo ricostruì. Le reliquie di Sant’ Olimpia, che erano state portate da Nicomedia nella chiesa di S. Tommaso sul Bosforo, andarono perse durante l’incendio della chiesa appiccato dai Persiani nelle loro incursioni (616-626).
La superiora Sergia, fu fortunata nel ritrovarle fra le macerie e le fece trasportare all’interno del monastero; in seguito non si hanno più notizie di esse. Sant' Olimpia è festeggiata nella Chiesa Orientale il 24-25-29 luglio, il “Martirologio Romano” al 17 dicembre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Olimpia, pregate per noi.

*Beato Pietro di Spagna - Martire Mercedario (17 dicembre)

+ 1418
Famoso per la propagazione della fede cattolica, il Beato Pietro di Spagna, cavaliere laico dell'Ordine Mercedario, fu uomo di grande dottrina e santità della vita.
Trovandosi ad Algeri in Africa, andò in testa all'esercitò cristiano e avanzando con una croce in mano contro le schiere dei saraceni, fu trafitto da una freccia dei mussulmani e poi venne tagliato a pezzi ricevendo la corona dei martiri di Cristo nell'anno 1418.
L'Ordine lo festeggia il 17 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro di Spagna, pregate per noi.

*Santo Sturmio di Fulda - Abate (17 dicembre)

Martirologio Romano: Nel monastero di Fulda nell’Austrasia, in Germania, San Sturmio, abate, che, discepolo di San Bonifacio, evangelizzò la Sassonia e fece costruire secondo l’ordine del maestro questo celebre monastero, che governò come primo abate.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santo Sturmio di Fulda, pregate per noi.

*Santa Wivine (Vivina) - Badessa Benedettina (17 dicembre)
Brabante, Belgio, 1103 – Grand-Bigard (Brabante), 17 dicembre 1170
È considerata come la fondatrice e la prima superiora dell'abbazia benedettina di Grand-Bigard, nella provincia del Brabante in Belgio, dove nel 1126, a 23 anni, fondò un eremo, adottando poi nel 1129, per lei e per le discepole che lì si erano radunate, la Regola di san Benedetto.
Il suo nome compare solo in un documento di Goffredo I di Brabante, datato 1133, in cui però non le viene dato nessun titolo.
Esiste poi un documento di donazione all'abbazia, da parte di Burcardo, vescovo di Cambrai, che lascia intendere la sua presenza in questo luogo tra il 1114 e il 1130, quindi prima del 1126 come riportato dalla tradizione. La data della sua morte è il 17 dicembre 1170.
La sua «Vita beatae Wivinae», è una biografia risalente ai primi anni del XIII secolo e subì varie amplificazioni nei secoli XVI e XVII. L'abbazia benedettina di Grand-Bigard fu soppressa nel 1796 e le reliquie della fondatrice, furono traslate nella chiesa di Notre-Dame-des-Victories al Sablon a Bruxelles.
Il 29 giugno del 1812, ci fu una solenne traslazione di una parte delle reliquie, che dal Sablon di Bruxelles, furono donate alla chiesa di Orbais, dove nel 1820 fu eretta una nuova Confraternita a lei intitolata. (Avvenire)
Martirologio Romano: Vicino a Bruxelles nel Brabante, nell’odierno Belgio, Santa Vivinna, prima badessa del monastero della Beata Maria di Grand-Bigard.
C’è più storia da raccontare dopo la sua morte, che notizie di quando era viva e di quel poco che si sa, vi sono molti dubbi storici.
Santa Wivine (Vivina) da sempre, è stata considerata come la fondatrice e la prima superiora dell’abbazia benedettina di Grand-Bigard, nella provincia del Brabante in Belgio.
Nel 1103 in detta provincia, fondò un eremo a Bigard nel 1126, adottando poi nel 1129, per lei e per le discepole che lì si erano radunate, la Regola di San Benedetto. Ad ogni modo il suo nome compare solo
in un documento di Goffredo I di Brabante, datato 1133, in cui però non le viene dato nessun titolo.
Inoltre esiste un documento di donazione all’abbazia, da parte di Burcardo, vescovo di Cambrai, che lascia intendere la sua presenza in questo luogo tra il 1114 e il 1130, quindi prima del 1126 come riportato dalla tradizione.
Infine non esiste documentazione che la qualifica come superiora o priora. La data della sua morte, riportata anche dal moderno “Martyrologium Romanum” è il 17 dicembre 1170.
La sua “Vita beatae Wivinae”, è una biografia risalente ai primi anni del XIII secolo; scritta più che altro in modo edificante, non attenta a date storiche, anzi si sofferma più sui miracoli che si verificarono sulla sua tomba, che sulle circostanze della sua vita; questa biografia, subì varie amplificazioni nei secoli XVI e XVII.
Il 25 settembre del 1177, fu effettuata una traslazione delle sue reliquie a cura del vescovo di Cambrai, Alardo. Nel 1625 Papa Urbano VIII autorizzò una Confraternita intitolata a Santa Wivine.
Nel 1764 un’epidemia distruggeva il bestiame della regione e allora un fedele del luogo, reduce da un pellegrinaggio a Grand-Bigard, fece richiesta di far celebrare una Messa ad Orbais (Brabante), per intercedere l’intervento della Santa; l’epidemia cessò e in ringraziamento fu scolpita una statua di Santa Wivine, che nel 1766 fu posta nella chiesa di Orbais, dove si trova tuttora.
L’abbazia benedettina di Grand-Bigard fu soppressa nel 1796 e le reliquie della fondatrice, furono traslate nella chiesa di Notre-Dame-des-Victories al Sablon a Bruxelles; nel contempo il culto della santa assai diffuso nella regione, diede luogo ad un periodico e famoso pellegrinaggio ad Orbais.
Santa Wivine (Vivina) è invocata contro la peste, la pleurite, la febbre e il mal di gola, sia per gli uomini che per gli animali.
Il 29 giugno del 1812, ci fu una solenne traslazione di una parte delle reliquie, che dal Sablon di Bruxelles, furono donate alla chiesa di Orbais, dove nel 1820 fu eretta una nuova Confraternita a lei intitolata. La Santa è festeggiata nei vari centri del suo culto, in date diverse, 25 settembre, 19 dicembre e 17 dicembre, data come già detto, riportata nel testo ufficiale della Chiesa.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Wivine, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (17 dicembre)
*San

Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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